Il Museo Archeologico di Eboli non è nuovo all’incontro con forme artistiche cronologicamente lontane da un passato così remoto quale appunto quello documentato e rappresentato normalmente nei suoi spazi espositivi. Fin dalla sua apertura al pubblico (avvenuta nell’anno 2000) la presenza di espressioni artistiche moderne e contemporanee, dalla pittura alla scultura, dalla musica alla danza, dalla letteratura al teatro, ha sempre caratterizzato questo luogo che intende porsi quale centro di cultura ad ampio raggio e dove , attraverso i reperti, si legge la Storia del territorio di appartenenza, non solo quella fatta di grandi avvenimenti e grandi nomi ma anche quella scritta da uomini e donne che, pur non identificabili, hanno creato e rappresentato una società intessendo contatti, sviluppando abilità complesse, esplicando le sconfinate ed inimmaginabili potenzialità di un essere umano. E’ proprio questo cammino, lungo e continuo, che qui s’intende evidenziare mostrando il filo invisibile ed indissolubile che unisce naturalmente passato, presente e futuro. L’opera di Raffaele Falcone “La Pace del Toro” che si espone nello spazio originariamente adibito a cappellina privata dei frati del Convento di San Francesco (sede del Museo) è costituita da una serie di crani e corna di toro in ceramica. Il materiale dunque ben si accosta alle collezioni che fanno parte dell’allestimento museale rappresentate per la maggior parte da manufatti ceramici. Il toro è certamente un animale che ha sempre rappresentato la forza, l’autorità, a me, forse per una deformazione professionale, viene subito in mente il toro di Creta, oggetto di una delle celebri Fatiche di Ercole, o della divinità egizia Apis, o quello nel quale il mondo cristiano ha trasferito la forza di Gesù Cristo, o ancora il toro delle corride, ma l’elenco potrebbe essere lunghissimo. Le sue caratteristiche sembrano apparentemente in contrasto con l’immagine di questi resti adagiati sulla sabbia ma, io credo, solo apparentemente in quanto essi continuano a trasmettere un concetto di potenza seppure slegate dall’azione. Va comunque anche detto che l’oggetto d’arte, in particolare quello contemporaneo, dopo una prima e attenta osservazione viene automaticamente interpretato, e spesso, o quasi sempre, il messaggio che si coglie non coincide con l’ ispirazione che ha mosso l’autore, anzi è come se una volta realizzata l’opera non gli appartenesse più perché parla linguaggi diversi a seconda di chi la guarda, diventando uno strumento di collegamento e di dialogo che permette la percezione di mondi, realtà e sentimenti diversi. La Pace del Toro mi sembra particolarmente vicina all’uomo di oggi, alle condizioni in cui la cosiddetta civiltà costringe, che impongono una distribuzione fredda e fiscale di impegni, di appuntamenti, di corse verso risultati che troppo spesso soddisfano l’egoismo di pochi lasciando il posto a delusione e frustrazione finchè non si riscoprono percorsi diversi suggeriti da valori solidi , non effimeri. Così come Goethe, durante i suoi viaggi, annotava nel suo diario “Non ho disegnato ciò che ho visto”, noi potremmo dire “non ho visto solo ciò che ho guardato”!
Giovanna Scarano
Direttrice Museo Archeologico Nazionale di Eboli
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